Galleria Provinciale d'Arte Moderna e Contemporanea
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Caldara Domenico

Caldara, Domenico, (Foggia, 1814 – Napoli, 1897). Pittore, professore presso il Regio Istituto di Belle Arti di Napoli. Di umili origini, rimase orfano di entrambi i genitori, poveri commercianti originari della terra di Bari, mentre era ancora un ragazzo. Cominciò così a studiare la pittura per proprio conto e a trovare con essa il sostentamento per sé e per la sua famiglia. Rimase a Foggia fino al 1838. A quella data era ormai famoso per i suoi ritratti somigliantissimi, tra cui quello di Monsignor Monforte, andato poi distrutto nei moti del 1848, e il ritratto ad acquerello del conte Varo, nobile mecenate foggiano che lo mandò a proprie spese a Napoli a studiare presso il Regio Istituto di Belle Arti. Qui ebbe a maestro, tra gli altri, Costanzo Angelini, il quale poté gloriarsi di un altro pugliese che, al pari di Michele de Napoli, sbalordiva i professori per la sua  padronanza del disegno. A Napoli rimase fino al 1842. Chiamato a Foggia, realizzò molti lavori, tra cui la gouache sulla volta del Salone di Palazzo Siniscalchi, rappresentante Il Parnaso, e i ritratti dell’intera famiglia Varo. Torna a Napoli nel 1844 per partecipare al concorso per il pensionato artistico di Roma. L’anno precedente non vi aveva partecipato per consentire la vittoria al figlio del professor Maldarelli. Vince il concorso, che aveva a tema “La sfida tra Apollo e Marsia” ed è mandato a Roma, fino al 1848,alla Scuola di Filippo Marsigli. Mentre è a Roma dipinge due grandi tele per le Esposizioni di Napoli, il Giacobbe e il Sacrificio di Abele. I quadri vengono acquistati dal Re Ferdinando II, che li destina rispettivamente al Palazzo di Capodimonte  e alla Reggia di Napoli. (Il Sacrificio di Abele fu esposto nel 1861 alla Esposizione nazionale di Firenze e poi destinato al Palazzo Reale di Torino.) Mentre Caldara era a Roma, un altro foggiano, di diverso temperamento, vince, con Domenico Morelli, il pensionato di Roma: Saverio Altamura. Nel 1848 Caldara torna a Napoli dove apre una Bottega d’arte in cui erano professati i canoni del più rigido classicismo e diventa ufficialmente pittore della Corte borbonica. Re Ferdinando gli commissiona due tele, una Gloria di S. Vincenzo Ferreri e un S. Ferdinando di Castiglia, destinato ad adornare la Cappella Reale. Dopo il 1860 anche questo quadro venne mandato a Torino. Nel 1854 Caldara venne nominato professore nel Regio Istituto di Belle Arti di Napoli. Il 24 maggio del 1859 la Regina Maria Teresa fa venire a Caserta Domenico Caldara per ritrarre le sembianze del Re Ferdinando II appena morto. L’episodio è narrato in tutti i particolari da Raffaele De Cesare nel celebre volume La fine di un regno. Introdotto nella camera dove era custodito il cadavere del Re, Caldara ritrasse il volto del sovrano a grandezza naturale. Il dipinto, eseguito in poche ore, fu trovato somigliante e la Regina ordinò a Caldara altre 12 copie di formato più piccolo da dare ai membri della Corte. Caldara fece anche un’altra copia che tenne per sé. Più tardi gli fu chiesto di realizzare una tela di grandi dimensioni per immortalare gli Ultimi momenti di Ferdinando II. In pochi mesi, durante i quali rimase a Caserta, Caldara realizzò il dipinto, che gli venne pagato duemila e seicento ducati. Portato a Cannes per ordine del conte di Caserta, di esso non si conosce la collocazione. La fortuna di Domenico Caldara, ha scritto Alfredo Petrucci, si era fermata in quella camera mortuaria, perché la rivoluzione che stava per abbattersi sul Regno di Napoli gli chiuse le porte per aprirle a quanti, come l’Altamura, avevano vissuto la stagione risorgimentale. Nondimeno la sua attività non ebbe a cessare. Su incarico del marchese Cappelli realizzò nel 1868 un altro grande quadro devozionale, la Madonna del Popolo o della Misericordia, collocato sull’altare maggiore della cattedrale di S. Demetrio dei Vestini (L’Aquila). Nel 1875 fu socio fondatore del Circolo Giambattista Vico a Napoli. Nel 1880 il Municipio di Napoli gli commissiona il dipinto “La presentazione della Vergine al Tempio”, da collocare sotto la volta della Chiesa di S. Maria della Scala. Realizza l’opera e rifiuta il compenso. Altre opere rimarchevoli: Le quattro stagioni (Raccolta Vanwiller), Niccolò dei Lapi, La Madonna dell’Icona Vetere, il Profeta Geremia, i restauri a Napoli delle volte della Chiesa di S. Domenico Seriano e della Chiesa di S. Maria, e innumerevoli ritratti, nei quali eccelse. Tra questi, si ricordano quelli della famiglia Jannuzzi, quelli della famiglia dei conti Spagnoletti, quello dello scultore Tommaso Solari, del Console di Francia a Napoli, Mr. Aimé, oltre a quelli di molti nobiluomini foggiani, tra cui Antonio Figliolia e Vincenzo Celentano. Caldara morì a Napoli nel 1897 in assoluta povertà. Nel 1998, un anno dopo la sua morte, un suo “Autoritratto” faceva ingresso nella collezione degli Uffizi a Firenze. Nel 1922 il figlio, cav. Benedetto, anch’egli pittore, destinò alla Pinacoteca di Ferrara alcuni dipinti ad olio e sette disegni, scelti da Filippo de Pisis. La città natale è anch’essa, comunque, colma di opere del grande artista, tra cui i quattro ritratti esposti nella Galleria Provinciale d’Arte Moderna di Foggia. Caldara non ebbe meno degli artisti suoi contemporanei il senso del vero e dell’innovazione, tuttavia “circostanze storiche, più che ragioni di temperamento”, orientarono la sua carriera artistica verso quel mondo classico in cui la funzione dell’arte era soprattutto quella di ritrarre la bellezza ideale. (G.Cris.)


Bibliografia essenziale

C.Villani, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani, 1904, ad vocem
B.Caldara, Il Caldara nell’arte classica, Roma, 1913
F.de Pisis, Un dono alla pinacoteca ferrarese, in Gazzetta ferrarese, Ferrara, 12.7.1922
F.Gentile, Profili di artisti, Foggia, 1929
A.Petrucci, Pittori pugliese dell’800: Domenico Caldara, Roma, 1929

Domenico Caldara (1814-1897), prefazione di Vincenzo Russo, scritti di Giovanni Albanese, Giuseppe Nasillo, Antonio Regina, Nicola Gentile, Vincenzo Mastronardi, Foggia, 1982        

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